domenica 18 novembre 2012

Red Wind



Etiopia.
Una sera qualunque. Quando si gira senza una meta, quando si cerca l’ultima birra.
Quando è presto per andare a dormire.
La musica s’infila nella strada come un profumo sottile. Viene da una tenda di strisce di plastica. Unte, scolorite. Dietro c’é una specie di bar. Un posto cadente, pareti azzurre scrostate, la paglia delle sedie sfondata. Silenzio e occhi che osservano. Due persone si spostano, un cenno, un breve sorriso, un invito. Sediamo, e due sgabelli di legno stridono nel silenzio.
Il cantante s’é fermato a fumare una sigaretta, mastica foglie di khat.
La birra é fresca e il ragazzo ricomincia a suonare. Uno strano strumento, una specie di arpa a sei corde, il Krar. Lui é un Azmari, il menestrello, ha una voce forte e vibrante come un nastro d’argento. La nenia si ripete e penetra nell’odore di legno, di paglia, di camicie sudate, dipinge l’ocra del deserto e la terra rossa che abbiano negli occhi.
Racconta una storia. Le frasi sono lente e staccate, lasciano il tempo d’immaginare. 
L’uomo che mi siede accanto vuole una sigaretta, puzza di whisky scadente, ma parla in inglese. Mi traduce quelle parole:
“Padre,
non portarmi più a vendere radio di plastica al mercato di Harar.
Padre,
non portarmi a dormire fra quattro muri di latta,
ad allungare la mano verso un turista sudato.
Lasciami qui, padre, nella nostra campagna.
Voglio dissodare le zolle appoggiandomi all’aratro.
Voglio veder crescere il grano dalle pieghe della terra.
Padre,
mi sembravi un eroe
quando alzasti quei muri di pietra
e chiudesti di paglia l’azzurro del cielo.
C’era odore di pane e di fumo mentre dormivo per terra.
Non voglio sbirciare da un buco fetente il futuro del mondo.
Lasciami qui padre.
Masticherò khat per sognare un futuro,
mi romperò la schiena dietro a quel mulo,
ma sarò libero,
fino al mio ultimo suono.”

(Tratto da prefazione ad “Etiopiche” di Hugo Pratt. Ed. Rizzoli-Lizard © Marco Steiner)

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