Isole bianche immerse nel blu
In Grecia
d’estate il vento soffia prevalentemente da Nord, da Nord-Ovest e da Nord-Est e
le barche, invece di arrancare e sbattere contro il Meltemi e le onde
dell’Egeo, farebbero bene a scivolare morbide verso il Sud. Perfino Filippo II
di Macedonia, il padre di Alessandro Magno, organizzava le sue spedizioni
navali in Grecia in modo che le sue flotte potessero navigare prevalentemente
verso le coste meridionali.
Tutta la forma
geografica della Grecia si allunga e pare quasi sbriciolasi in una serie
infinita di isole che si protendono verso il Sud, verso la Turchia, l’Oriente,
sembra un albero stirato dal vento, un albero che perde centinaia di foglie,
piccole e grandi che volano via nella corrente.
Un
meraviglioso gruppo di isole basse, brulle e rocciose si dispone a raggiera,
formando una specie di cerchio intorno alla magica e storica Delos, la mitica
patria di Apollo. Le chiamano Cicladi, proprio per questo motivo, più ad Est,
invece, c’è il Dodecaneso, una serie di dodici isole che si protendono nel mare
di fronte alla Turchia occidentale.
Le Cicladi e
il Dodecaneso sono state la meta del nostro viaggio a vela verso il Sud, un
itinerario sulle rotte della storia, del vento e del caso, un viaggio alla
ricerca dei castelli dove si rifugiarono i Cavalieri Templari diretti a
Gerusalemme, dei Monasteri incastonati su isole tempestate dal vento o di baie
e grotte riparate dagli attacchi dei pirati saraceni, un viaggio alla ricerca
dei porti e delle cittadelle fortificate create dai veneziani per disseminare
le loro vie commerciali di basi sicure lungo la rotta verso Istanbul, la porta
d’Oriente.
E’ stato un
itinerario ispirato dalle libere rotte che avrebbe potuto solcare un marinaio
come Corto Maltese in cerca di avventure e di situazioni particolari, un
itinerario un po’ fuori dagli schemi; una vera meta, in fondo, non c’era,
l’importante era il Viaggio in sé, lo scivolare fra un’isola e l’altra
respirando il profumo e la libertà del mare perché, come diceva Kerouac “…si
può sempre andare oltre. Oltre non finisce mai…”
La parola
Meltemi, viene dal turco Meltem, e il
Meltemi è il vento che soffia dal Nord. Nell’Egeo centrale è rabbioso,
violento, strappa le vele, arriva prevalentemente da Nord-Est, mentre nel
Dodecaneso, dove è più tranquillo, perché riparato e attenuate dalle coste
turche, viene da Nord-Ovest. E’ un vento stagionale, estivo, fresco, secco, un
vento che pulisce l’aria e pittura il mare con i colori della Grecia, il blu
intenso dell’Egeo e il bianco delle creste ondose. I greci lo chiamano anche Etesio (vento annuale). C’è una bella storia mitologica
legata al Meltemi, quella legata all’uccisione di Icario. Icario era il
timoniere della nave sulla quale viaggiava Dioniso e un giorno, il marinaio
ebbe addirittura la fortuna di ospitare il dio nella sua casa. Dioniso per
ricompensarlo della benevolenza e della sua costante fedeltà gli donò un ceppo
di vite e gli insegnò anche come fare il vino, ma poi, prima di allontanarsi
gliene lasciò un otre per farlo assaggiare agli uomini. Icario lo diede ad
alcuni pastori, ma questi, resi ubriachi da quella strana bevanda pensarono
d’essere stati avvelenati da Icario e lo uccisero gettandolo in un pozzò. Lo
trovò la figlia, seguendo i latrati del suo cane Maira, ma disperata dopo aver
ritrovato il cadavere del padre si uccise anche lei. Gli assassini, dopo quel
vile gesto si rifugiarono nell’isola di Ceo, ma Dioniso, che aveva seguito
tutta la scena dall’alto dei cieli, adirato per quella violenza, bloccò l’aria
e l’isola venne avvolta da un’immobile cappa di caldo insopportabile. Erano i
giorni della stella Sirio, nella costellazione del Cane Maggiore, che si
chiamava Maira, proprio come il cane di Icario, non poteva essere un caso.
L’oracolo di Apollo, a Delfi, interrogato su come risolvere quella strana
situazione, disse che per far terminare quella canicola e la terribile siccità
che minacciava uomini, animali e raccolti, bisognava trovare e punire gli
assassini di Icario. Si diedero tutti da fare e, una volta uccisi quei malvagi,
iniziò a spirare il fresco Meltemi che rimise in pace gli animi e spazzò via
quel gran caldo.
Partire da
Lavrio vuol dire doppiare Capo Sunion, far indorare le vele dal tramonto e
dirigere a Sud, verso Kythnos e poi più giù verso Serifos. Il Meltemi comincia
a farsi sentire, ci sono 30 nodi che distendono le vele e spingono lo scafo a
fendere il mare. A Serifos, anche il porto di Livadi è spazzato per bene dal
vento, l’ancoraggio in rada, il nostro preferito, non è abbastanza sicuro,
serve un po’ di fortuna per trovare
un ormeggio nel piccolo molo, ma a quel punto si può lasciare la barca e
incamminarsi verso la città vecchia, la Chora, col suo Kastro veneziano del XV°
secolo. Non serve percorrere la strada statale, c’è una scorciatoia che
s’inerpica fra ulivi e fichi d’india, fra viti contorte e muretti di pietra.
C’è un bel café-bar nella piazzetta candida, si chiama Stou Stratou,
lì si può bere e mangiare qualcosa, ma la cosa più importante è sfogliare il
menù, perché è un vero libro d’immagini e splendide poesie. C’è “Itaca”, le poesia di Kavafis, e “L’uomo e il
mare” di Boudelaire, vale la pena di
restare seduti e farsi scompigliare i capelli dal vento, magari bevendo un
bicchierino di ouzo, sgranocchiando pistacchi, si ritornerà indietro nel tempo
e si potranno rileggere quei due caposaldi sul significato del Viaggio.
Milos sembra
una grande mano di roccia che voglia afferrare qualcosa, è tutta racchiusa a
semicerchio per proteggere il suo porto principale, Adamas, un tempo quel
tratto di mare interno era la bocca del cratere di un vulcano, adesso c’è un
bel porto riparato e una città piena di vita. C’è un po’ di tutto a Milos, un
mare stupendo e tante cose interessanti da fare e vedere. Purtroppo per la
Grecia, la Venere di Milo, ritrovata nel 1820 in un campo in mezzo agli ulivi,
per qualche ragione diplomatica adesso è andata a finire a Parigi, al Louvre,
ma ci sono rimaste le miniere, i musei archeologici, le sorgenti termali e
l’antico villaggio dei pescatori di Klima con le sue casette bianche. Un tempo
erano i depositi delle barche da pesca, adesso sono delle casette gioiello, le
porte e le finestre sono dipinte con i più variopinti colori dell’arcobaleno,
sembra un acquarello che si rispecchia nel mare. Ma a Milos ci sono anche le
spettacolari grotte di Kleftiko, dicono che un tempo gli abitanti dell’isola
issavano le loro imbarcazioni all’interno di queste altissime spaccature
infilate nella roccia, le tiravano in alto con le corde fino alle volte scure
di granito per nasconderle dagli assalti dei pirati saraceni, una cosa è certa,
i pirati saraceni razziavano i mari da queste parti e le insenature di Milos
erano perfette per nascondersi e tendere agguati.
Poliegos,
letteralmente l’isola delle molte capre, è una piccola isola disabitata ad Est
di Milos, merita davvero una sosta ed un bagno, le sue acque turchesi e le
sabbie bianche non hanno niente da invidiare ai Caraibi.
Folégandros è
un’altra meraviglia, il piccolo porto di Karavostasis non può ospitare tante
barche, ma vale davvero la pena di salire fino alla Chora e al vecchio Kastro
del XIII° secolo e ancora più in alto fino alla chiesa della vergine Panagia,
il tramonto è un spettacolo assoluto e lo sperone di roccia su cui si staglia
la chiesa colorato di ruggine sembra una scultura avvolta nella seta blu del
mare.
Santorini,
vista da lontano, pare una montagna spruzzata di neve, invece è un’isola con
una storia incredibile, distrutta e risorta dalle acque, nera di lava e bianca
di case e negozi costruiti da uomini che credono in un altro futuro possibile,
oltre alle meraviglie che tutti possono trovare da soli, due consigli: un
ancoraggio alle boe che stanno dalla parte di Oia, il punto più a Nord
dell’isola, lontani dalle strade trafficate dalla gente dello shopping e vicini
ai rifugi delle barche dei pescatori, l’altro consiglio è l’Atlantis Books, il
posto giusto per cercare un libro in ogni lingua, poesie, romanzi, guide, c’è
anche uno scaffale di legno artigianale che i ragazzi della libreria chiamano
“Philosophy Tower”, i libri contenuti in questa torre sono tenuti al loro posto
da piccole cime e nodi parlati.
La vista del
grande cratere vulcanico, la Caldera, magari al tramonto, e proprio da Oia,
all’estremo settentrionale dell’isola, è uno spettacolo unico, i terremoti, le
distruzioni e i maremoti dell’isola iniziarono 2000 anni prima di Cristo e
l’ultimo c’è stato nel vicino 1956, quindi in quattromila anni, tutti questi
sommovimenti hanno distrutto, incendiato, allagato, modificato, ricreato un
ambiente che irradia un’indescrivibile magìa. Nea Kameni, per esempio, è una
piccola isola piazzata proprio di fronte a Santorini, è proprio “un’isola che
non c’era”, eppure, oggi se ne sta infilata nel mezzo della grande caldera
anche se è nata, sorgendo dalle acque in una nuvola di fumo, da poco tempo, nel
1707.
Da Santorini
si può provare a navigare verso Nord se il Meltemi molla per un po’ la sua
furia, ci sono Ios, Paros, Antiparos, Naxos, sono tutte lì, sono tutte vicine,
sono una vera palestra per velisti che amano bordeggiare fra isole raggiungibili
con navigazioni di tre o quattro ore, ognuna di loro ha caratteristiche
differenti, dalla “giovane” Ios, piena di locali, ritrovi e musica, fino alla
grande Naxos e ai gioielli nascosti delle Piccole Cicladi.
Manganari è
una bellissima spiaggia di sabbia chiara e una baia ben protetta perfino con 35
nodi di solido Meltemi di Nord-Ovest, siamo nella parte meridionale di Ios,
dall’altra parte dell’isola, quella che si affaccia sul vento, su Naxos,
Sikinos e Schinoussa c’è la tomba del più grande scrittore d’avventure per
mare, Omero. Il profumo del mirto e il vento caldo ci spingeranno ancora verso
Sud, lo sguardo di Ulisse ci aiuterà, invece, a tracciare rotte diverse, Oltre
le isole, perché come dice Kavafis, Itaca forse non ci darà la ricchezza, ma ci
regalerà il Viaggio.
Verso le
cinque di un pomeriggio di luglio, il vento decide di riposarsi e cala il
silenzio. Ci ancoriamo in una rada riparata di Schinoussa, il mare è
letteralmente turchese, e quando il sole decide di colare dietro alla punta di
roccia, tutto si colora di rosso, d’arancio e di viola. Non ci sono taverne o
case qui intorno, non c’è proprio niente, c’é solo una mare stupendo e placido
come un lago, allora basta scendere in acqua, è quasi sera, ma con una maschera
e un coltello si possono raccogliere rapidamente dei ricci bruni e rossastri,
fare soffriggere aglio e peperoncino in un ottimo olio greco, saltare gli
spaghetti e poi aggiungere i ricci crudi per assaporare tutto il profumo di
quel mare. C’è del vino bianco ghiacciato e perfino la luna piena nel cielo, è
tutto anche troppo perfetto. Gli Eagles si mettono a cantare “I can’t tell you
why”, ma qui non servono troppe spiegazioni, non c’è altro da aggiungere, il
senso dei viaggi per mare è anche in queste situazioni uniche.
Amorgos è la
mia isola preferita, vista da lontano sembra un grosso drago dalla schiena
curva allungato a riposare nell’acqua. Amorgos se ne sta da sola in mezzo
all’Egeo meridionale allungandosi verso il Dodecaneso. Insieme a Mykonos, è la
regina del vento, ma secondo lo skipper, Vasili, è la più temibile. Vasili è un
greco, viene da Tessalonica, nella regione orientale della Grecia, quella che
confina con la Bulgaria. Vasili mi ha spiegato un fenomeno interessante, come
si forma il Meltemi, senza nulla togliere alla bellissima storia dell’omicidio
di Icario.
D’estate, nei
cieli orientali della Turchia si forma un vortice di basse pressioni che girano
arrotolandosi in senso antiorario verso la Grecia, anzi proprio verso il
confine fra la Bulgaria e la Grecia; dall’altra parte, invece, nella zona
occidentale della Grecia, quella verso l’Albania, si formano altri vortici,
questi sono di alta pressione, e girano proprio al contrario, cioé in senso
orario e, in pratica, scontrandosi con i vortici che vengono dalla Turchia,
s’incanalano nel tratto di Egeo dove ci sono le Cicladi e qual’è l’isola più
esposta di tutte?
Proprio quel
drago che se ne sta allungato nell’acqua: Amorgos.
Se il Meltemi
decide di darsi da fare sul serio, riesce a superare tranquillamente i 30 nodi,
noi abbiamo assaggiato i 38, ma può fare anche di meglio, a quel punto
raggiungere Amorgos da Sud-Ovest, ad asempio dalla splendida Astipalia è
un’impresa quasi impossibile e la costa orientale di Amorgos, quella che
dovrebbe essere la più riparata dai venti del Nord diventa una dimostrazione
pratica di un ”effetto Venturi” sul mare. Non servono grandi spiegazioni
fisiche per descrivere questo fenomeno fisico, basta dire che le montagne di
Amorgos, che sono alte più di 800 metri, una volta scavalcate dal vento lo
spingono verso il basso moltiplicandone la forza con delle raffiche
impressionanti. E’ un po’ come quando un forte massa d’aria viene incanalata in
tubo in cui il diametro si restringe, l’aria uscirà con una velocità maggiore
rispetto all’entrata. L’Egeo diventa una specie di grosso imbuto puntato
proprio su Amorgos.
Il lato
orientale di Amorgos, è la schiena incurvata del drago, un grande sperone di
roccia, il Profetas Elias, che si getta a picco nel mare. Il mare è appiattito
e schiaffeggiato dalle raffiche del Meltemi, ma proprio qui, a mezza costa, c’è
un incredibile monastero tutto dipinto di bianco.
Sembra una
pietra preziosa di abbacinante candore incastonata nella roccia scura, ocra,
marrone, venata e graffiata di nero e di grigio.
Il monastero
si chiama Moni Hozoviotissa, sembra impossibile che qualcuno possa aver pensato
di costruirlo proprio lì, sembra ancora più impossibile che qualcuno ci sia
riuscito e che sia ancora lì, intatto e bellissimo, dopo secoli. Pare che due
monaci siano arrivati qui dall’Asia Minore con una piccola imbarcazione,
portavano un’icona sacra della Vergine Maria che avevano salvato dal loro
monastero nel periodo iconoclastico, il mare sbatteva la loro barca verso le
rocce, i legni stridevano ed era quasi impossibile governare con il timone, ma
quando alzarono gli occhi verso quell’imponente parete di sassi e granito
sembrò loro di vedere un luogo che gli ricordava tanto le montagne da cui
provenivano. Forse i remi si spezzarono e la barca si schiantò lì fra gli
scogli aguzzi e l’icona finì in mare, forse, invece, quegli uomini coraggiosi
riuscirono a toccare miracolosamente la riva e a salire sulle pendici di
quell’immenso scoglio e forse riuscirono a posare le prime pietre del convento.
Fatto sta che oggi il monastero conserva quella preziosa icona miracolosa e che
qui vivono circa 80 monaci che dedicano il loro tempo alla preghiera e allo
studio di antichi manoscritti. Una leggenda dice che il Monastero iniziò ad
essere costruito in riva al mare, ma che ogni notte, il lavoro eseguito di
giorno veniva distrutto. Un giorno il capomastro perse la cassetta che
conteneva i suoi attrezzi da lavoro, la cercarono ovunque ma sembrava sparita,
cominciava a diffondersi il pessimismo e, del resto, quel luogo veniva chiamato
Diavolotopos, cioè il posto del Diavolo, ad un tratto però, alzando gli occhi
videro che la cassetta degli attrezzi era appesa a un chiodo a mezza montagna.
Il fatto venne letto come un preciso segnale della Vergine Maria, il Monastero
doveva sorgere in quel punto, era da poco passato l’anno 1000. Sembra un sogno
realizzato e i sogni per realizzarsi hanno bisogno di un viaggio, di un’idea,
un’intuizione, ma poi hanno anche bisogno del tempo, della costanza e del
lavoro quotidiano. Pietra su pietra quei monaci hanno lasciato un segno, una
testimonianza per collegare il passato con il futuro, per trasformare quel
sogno in una storia vera. L’icona della Vergine Maria è del IX° secolo e
continua a proteggere i pescatori.
Ma non c’è
solo questo monastero ad Amorgos, c’è una bellissima Hora non lontana dal porto
di Katapola, la parte più antica, il Kastro è del XIII° secolo, ci sono dei
vecchi mulini e vale la pena perdersi nelle strette viuzze e cercare il locale,
il cibo, la bevanda che più si adatta ai propri gusti. Da qualche parte lassù
c’è un piccolo ristorante che serve piatti dai sapori orientali e qualcuno, sul
muro, ha disegnato un Corto Maltese che saluta Shanghai Lil, è stato un
piacevole caso, ma sembrava quasi un appuntamento, un segnale.
Kinaros è solo
un grande scoglio perso nel blu, è sulla rotta fra Amorgos e Levitha, s’innalza
dall’acqua proprio in mezzo al canale del Meltemi, c’è una parete calcarea che
s’affaccia ad est, a fissare il sole che sorge, sembra di vedere un volto
scolpito nella roccia, quasi un antico idolo che se la ride del tempo e
continua a guardare oltre, perché potrà scivolare nel mare, dissolversi in
mille conchiglie o continuare a rompere le onde, ma continuerà sempre a ridere
del tempo e delle navi sbattute dalle onde.
Patmos, Leros,
Kos, sono le principali isole del Dodecaneso, a Patmos c’è una grotta molto
speciale. Molto tempo fa, San Giovanni riposava lì, dormiva su di un cuscino
scavato nella pietra, ma una notte si aprì una fenditura proprio sopra la sua
testa, era a forma di croce, e oltre a far entrare quello squarcio di luce gli
fece ascoltare la voce di Dio. Nacque così il Libro della Rivelazione, cioé il
Libro dell’Apocalisse, proprio in quella grotta, e ancora oggi si sente
qualcosa di speciale in questo luogo e anche gli occhi del Pope che ci guarda
hanno una luce speciale.
Il castello di
Leros è un altro luogo magico e la vista, dall’alto di quelle mura, riesce a
inquadrare una vera visione complessiva di tutta la Grecia: i mulini, le coste
frastagliate che si gettano nel mare, gli alberi di ulivo, le chiese bianche e
i muretti di pietra e il mare, il mare che circonda, allontana, ma unisce ogni
luogo e ogni persona.
Bodrum è sulla
costa turca, ma dovevamo arrivare fin qui perché ha un significato speciale. Il
castello dei Cavalieri di San Giovanni venne costruito nei primi anni del 1400
e ampliato usando perfino le pietre di una delle sette meraviglie del mondo, il
monumento funebre di Mausoleo, il famoso Mausoleo, ma quando Solimano il
Magnifico conquistò Rodi, concesse a quei valorosi cavalieri di abbandonarlo in
pace, era il 1522. Oggi nella luce dorata del tramonto si sente la voce del
muezzin che invita alla preghiera, ma poi quando la notte scende, sono le
discoteche che s’appropriano della scena e un nuovo Solimano, questa volta il
Terribile, decide di proiettare sulla mura del castello dei fasci di luce laser
verde, sono i prossimi concerti, un saluto ai turisti, un altro tipo di
conquista più moderna.
Kalymnos, un
tempo era l’isola delle spugne, ma ormai costano meno quelle sintetiche. Fuori
c’è troppo vento, entriamo in un’insenatura che s’infila fra le montagne come
un fiordo. Le alture sono brulle, incombenti, sono quasi inquietanti, ci si
sente osservati. C’è una spiaggia di sassi e un sentiero che s’infila
all’interno dell’isola. Non c’è nessuno, solo una capra che s’arrampica e poi
si ferma su una pietra sporgente. Saliamo, fra sterpaglie e cespugli d’origano,
salvia e timo selvatici. Arriviamo davanti ad un gruppo di cinque ulivi
centenari. I tronchi e i rami sono contorti, le fronde cariche di minuscole
olive verdi. Le cicale e il vento inventano una colonna sonora, il vento ogni
tanto riposa e le cicale ci danno dentro più forte. C’è un muro di pietre
proprio sotto dell’ulivo più grande, sembra un altare rudimentale. I profumi
delle erbe mescolati dal vento fanno pensare a una chiesa ortodossa. Davanti
all’ulivo c’è un fiore stranissimo: ha un gambo lungo, elegante, carnoso, ha il
colore della giada, il fiore ha la forma di una goccia, di una punta di lancia,
di un disegno turco. E’ composto da piccoli ovuli gialli, arancio e rossi.
Delicato e unico come quella baia nascosta, un regalo concesso dal caso.
Pserimos,
Akti, Lipsi, Marathi sono piccole perle del Dodecaneso, acque turchesi, baie
riparate e poca confusione, non c’è niente di speciale, solo tutta la gamma
degli azzurri e dei verdi del mondo, non c’è una nota stonata, solo pace e
bellezza.
Umberto Saba
scriveva che un piccolo porto è una porta aperta ai sogni, bisogna venire in questi luoghi per capire queste
parole e per aver voglia di continuare a viaggiare.
Certe mattine
è difficile stare fermi e guardare, pensare. Forse è la luce dell’Est, ma poi è
anche il Sud, il mare, le isole, l’orizzonte e allora è meglio raccogliere un
bagaglio minimo e partire. L’itinerario sarà immerso in quella foschia lontana
dove si vede un’isola appena. Tanto una volta raggiunta quell’isola se ne
delineerà un’altra all’orizzonte, come un’altra storia che c’invita ad andare,
fuori dai porti e lontani dai nodi.
Agosto 2012,
Nisiros, Grecia.
Marco Steiner
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