martedì 30 ottobre 2012

Voyage

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Chuka,
a friend in Mongolia
a great Traveller

Marco Steiner

2 commenti:

  1. "Lui aveva scelto le spalle e delle bretelle ben in vista per andare via.
    Quel giorno. Una camicia bianca e stirata di fresco.Dei calzoni ampi e delle scarpe all’inglese; stringate, di colore scuro che bolinava verso il marrone, come d’inverno. Anche se era estate piena, in verità. E una sacca da postino en bandoulière.
    Aveva scelto la nuca; il principio del collo e non la gola; quella sarebbe stata di lei nel modo in cui era solita rovesciarla nell’istante del piacere, nel porgere il declivio verso il precipizio. Prima di ogni altra cosa e di ogni sottile dettaglio. E aveva scelto le parole come tanti fendenti e il veleno, e il miele dosati in giuste parti per poter andare senza doversi poi voltare ancora. Senza dover esitare e rimpiangere la scelta. Questo pensava. Questo credeva. Lei sapeva che sarebbe stato in quel modo; l’intemperanza del gesto, l’incostanza e l’imminenza dell’abbandono. Sapeva le circostanze per via del mare, nel mezzo, per via dei capelli e degli occhi, della barba a metà, a volte, e di quella sua bocca che l’aveva baciata come per succhiare un riccio.
    A lungo. Ferendole la lingua, a tratti.
    Prima di fare l’amore.Di morsi svelti e crudeli che l’avevano condotta quasi al punto in cui poi.Lo sai, non è vero?Sapeva ogni cosa più di quanto lui non immaginasse ed era il tributo che gli avrebbe consegnato.
    Lui aveva deciso ma non per banalità oppure per noia; solo era venuto il momento e niente avrebbe dovuto essere più in attesa. Nulla doveva essere più speranza o sogno. O premonizione romantica.
    Così l’aveva cercata accanto al luogo dove erano stati, giorni prima, dietro la limonania; poco al di sopra della casa abbandonata; l’aveva portata lì e le aveva spiegato. Lei non voleva ascoltare, non intendeva farlo; si ostinava nel cercare di trattenerlo, a dispetto di tutto; sbottonava e levigava con le dita, saggiava le parole senza valutarle, soffiando il respiro contro le parole e le frasi monche, sino a che lui non le tirò su la faccia di scatto; il pollice sotto il mento; bruscamente, e le fece quella precisa domanda.
    (perché io?)
    Lei era bella di una bellezza anodina; puntuta e liscia insieme, scoscesa nel corpo e accogliente, tuttavia. Fu un istante; le fu sufficiente quell’attimo in cui lui si distrasse per interrogarla, ancora, per fare, e perché ogni cosa divenisse compiuta.
    Si mosse impercettibilmente e a piccoli passi sino al tavolo, a ritroso, mormorando senza che lui capisse nitidamente, sollevò i glutei e si sedette, e divaricò le gambe affinché la visione di quello che era stato sempre, sempre, ogni singola notte in quei mesi, e in ogni momento in cui vi era stato sangue e pelle, non gli fosse negata, quel giorno soprattutto. Lui non mise a fuoco da subito, non l’intento, non la supplica smodata e glielo permise; di slacciare i bottoni, liberare il palpito.
    Di.
    ( perché te ne vai via così?)
    E allora le permise le cose, tutte quante, tutte; le cosce alte contro i suoi fianchi, e fiere, forti, e le spinte, il dondolare pigro, e la litania del fiato contro le labbra, del seno contro il petto, e le mani , e le dita, e la lentissima preghiera del vento, fuori, del vento dentro, del vento e basta. E in quell’istante fu come se non ci fossero camicie bianche e bretelle, e borse da riempire e scarpe per camminare. E nemmeno lenzuola o gemiti, o promesse, oppure silenzi da rispettare. E fiele e veleno, e miele per riparare. In quell’istante che era l’ultimo soltanto dei loro due nomi.

    Lei sapeva che sarebbe stato in quel modo; l’intemperanza del gesto, l’incostanza e l’imminenza dell’abbandono. Lo aveva sempre saputo senza che potesse mettersene al riparo, tuttavia. Sapeva le circostanze per via del mare, nel mezzo, per via dei capelli e degli occhi, della barba a metà, a volte, e di quella sua bocca che l’aveva baciata come per succhiare un riccio.
    E per via di quello che lui non aveva mai, mai pronunciato.

    (perché
    io sono di tutti e non sono di niente
    e soltanto di me
    e perché il mare separa a volte

    e perché amo un’altra che non sei tu )"






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    Risposte
    1. infilati un nome nella sacca che porti in spalla
      e sali in barca
      c'è sempre bisogno di gente che ha voglia di raccontare
      sarà un vero piacere averti a bordo
      e il tuo nome non dovrà essere quello dei tuoi pezzi di carta
      sulla Black Pearl non servono etichette
      solo un modo per non chiamarti
      Ehitu

      Blake

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